In Scena aperta Paolo Menon, con chiara cognizione di essere nella spirale potente dell’atto creativo, presenta un cosmo poetico in cui esprit de finesse e esprit de géométrie s’incontrano nel caleidoscopio di «memorie esperienziali anche dolorose, quasi mai analgesiche per l’anima»: la restituzione di tale icastica relazione sono i testi organizzati secondo il canone del teatro: tre atti in cui si scolpiscono impressioni motivi accadimenti auscultazioni che agiscono sul piano dell’individuazione: ogni poesia è una creatura che emerge dallo spazio, dal tempo, dal mitologema sentiti ineludibili, canapi che ancorano proteggono ispirano rigenerano – quasi un rituale – il poeta, la sua intelligenza emotiva costantemente chiamata alla forza forgiante la materia della vita, coniugando la luce e l’ombra, la loro interferenza. L’interiore necessità dell’assetto dell’armonia trova esistenza nell’ordine mimetico del logos della rappresentazione teatrale la cui energia e propulsione s’innestano nel perfettibile, nella ferita desiderante la guarigione, lasciando trapelare che ogni opera guaritrice s’intrama di un’opera regolatrice i cui crediti s’inscrivono nel riconoscersi nella propria inevitabile autenticità.
Testo critico di Adriana Gloria Marigo
da: «Limina mundi - Per l’alto mare aperto», 6 novembre 2020
Silloge poetica: Scena aperta, di Paolo Menon, Simonelli Editore, 2019
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Da ATTO I – Spazi reali e spazi simbolici
Coreuti in scena
Così diversi
e unici, così litici e fragili:
come gocce d’acqua
abbiamo scavato la pietra,
eppure
in quel solco
dilavato
non scorre
che sangue
di cui siamo intrisi:
chi mai ci restituirà l’incanto
aurorale?
Scaenarium
Nelle viscere della bellezza
sprofondo.
Immerso in essa annaspo
tra i versi fetali di un amniotico carme
e risalgo – rigenerato –
nelle affollate solitudini
del creare.
Da ATTO II – Scenografie della parola
- Scena aurorale
Nei forami
della dorsale notturna
corre un brivido
che raggiunge Eos:
sbadiglia
e sonnecchia il sole
che – stirandosi –
srotola nubi tenebrose
stemperandole,
spettinandole, sormontandole
colorandole, stringendole
finché – sospinto il purpureo plasma aurorale –
non disvela
il logos nell’alba.
XIX. Scena notturna
Finché il sole lo permetterà
potrai incatenare
la mia ombra alla tua
al flusso
dei tuoi desiderî
ma dal tramonto all’aurora
le speranze – a lungo
detenute – si scateneranno
per condurre le tue
al guinzaglio tra gli ingannevoli
cocci filosofali – ritratti
di vacche e pavoni per Hera –
entro le mura dell’isola
di Samo.
XXXI. Scena silvana
S’acquietano gli acufeni
e d’un tratto
il latrato dei cani e il belìo degli agnelli
e il battibecco
sgraziato
dei corvi
e il fischio tra i lauri dei merli
si fanno musica
e balsamo di Driadi.
Da ATTO III – Scenografie d’azione scenica
II
E mentre bramivano i cervi
e i lupi ululavano
allarmati,
il sisma inghiottì pure la breve distanza
che sino a quel momento
separava le prede
dai predatori.
… di pari passo, ma non da meno, l’immane tragedia
raggiunse l’apice dell’ineluttabilità il 28 luglio 1976
a Tangshan, in Cina: 242.769, stimate 650. 000 vittime!
[ Scossa tellurica di magnitudo 7,8 Richter ]